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FOTO DI UNA COSTA STRAVOLTA

La Sicilia vanta oltre 1000 km. di coste, ma il 63% di questo litorale vede da tempo ormai compromesso il suo equilibrio naturale. Secondo i dati raccolti nel 1996 dal veliero ‘Oloferne’ del Wwf, infatti, lungo queste coste si assiste ad una ‘occupazione antropica integrale’, espressione che indica l’impossibilità di recuperare quanto l’opera dell’uomo ha stravolto.

Secondo il Wwf, ancora, "se si aggiunge il litorale occupato da nuclei edificati non continui, e da grandi infrastrutture, si arriva ad una occupazione costiera ben più alta, pari al 74%.

Sono dati, ovviamente, che rendono solo una parziale idea di quanto patrimonio ambientale sia andato perso negli ultimi decenni nell’isola, fra silenzi delle amministrazioni locali, disinteresse di forze dell’ordine ed organismi di controllo, ed interessi speculativi, quasi sempre legati a contesti tangentistico-mafiosi. Si tratta di un collasso ambientale alimentato a partire dagli anni cinquanta, quando l’illusione di uno sviluppo della Sicilia in chiave industriale - legato principalmente agli impianti petrolchimici - finì col favorire un ‘indotto edilizio’ alimentato da una immensa colata di cemento. Nel febbraio del 1956, ad esempio, Gela fornì i suoi primi giacimenti di petrolio, e quattro anni più tardi l’Anic avrebbe iniziato la costruzione del suo stabilimento per la raffinazione del greggio.

Allora, la prospettiva di un rapido sviluppo economico della zona fece passare sotto silenzio la scomparsa delle attività primarie - agricoltura e pesca - e la penalizzazione del patrimonio storico e naturale.

Oggi la cittadina nissena, un tempo affacciata su un mare cristallino e lungo una spiaggia utilizzata dalle tartarughe per la deposizione delle uova, è l’esempio più eclatante dello sfascio ambientale e dell’abusivismo in Sicilia: complice anche l’indolenza politica dei suoi amministratori, Gela "vanta" una stima di 50.000 vani abusivi, con interi quartieri privi di strade, fogne, acqua e luce.

Altro caso da manuale, nella casistica delle aree costiere stravolte dall’abusivismo, è quello della zona palermitana di Capaci e Carini, dove la cementificazione ha fatto scempio di un litorale ancor oggi indicato con la denominazione di un tempo, ‘riva smeralda’. Migliaia fra ville, villette, residence, immobili prefabbricati, capanne e semplici tuguri sono cresciuti l’uno accanto all’altro, in barba a qualsiasi pallida ipotesi di piano regolatore.

Chi percorre l’autostrada A29 che da Palermo conduce all’aereoporto di Punta Raisi, può farsi una idea chiara su quanto e come l’abusivismo abbia potuto stravolgere il territorio costiero in Sicilia.

Il sogno della ‘seconda casa’ al mare ha partorito in zona un serpente di cemento - in stile piastrellato-cubico, ringhierato-anodizzato o ligneo-mattonato - inglobando anche stabilimenti balneari, anch’essi abusivi e riservati a familiari dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato.

Nei mesi passati l’amministrazione comunale di Carini ha promosso una cinquantina di demolizioni - uno dei pochi casi in cui un ente locale abbia preso iniziative contro l’abusivismo - tuttavia il ritardo degli interventi pare irrecuperabile. Da un lato infatti gli stessi Comuni hanno fatto poco o nulla per salvare le proprie coste dalla speculazione edilizia, dall’altro l’assessorato regionale al Territorio ed Ambiente non ha mai esercitato i propri poteri nei confronti dei sindaci inadempienti, preferendo avallare operazioni di ‘alto bordo’: costruzione di alberghi, complessi immobiliari e villaggi-vacanze, in nome magari dello ‘sviluppo turistico della Sicilia’.

Esempi recenti di devastante edilizia costiera, si osservano nei pressi della foce del fiume Imera, area che a poche centinaia di metri da un tempio greco ospita un immane residence, vero e proprio condominio estivo dall’impatto ambientale devastante.

Si tratta di una circostanza che pesa non solo sulla cementificazione delle coste, ma anche sull’inquinamento del mare e sulla erosione del litorale, quest’ultima evidente lungo la costa tirrenica dell’isola, e in particolare nel messinese.

Ancora in provincia di Palermo, basta arrampicarsi lungo la storica ‘rocca’ di Cefalù - un punto di osservazione che spazia sino alle Eolie - per rendersi conto che il cemento ormai lascia ben poco spazio ad un litorale che sino ad una ventina di anni fa conservava la sua fisionomia naturale.

Allo scempio, negli anni Ottanta, ha contribuito anche la creazione di una zona di ripascimento ittico - questa la denominazione fornita dalla Regione - vale a dire una fascia di mare utilizzata per scaricare i detriti provenienti dai cantieri dell’autostrada Palermo-Messina.

Ville e residence costruiti in aree demaniali hanno alterato per sempre anche l’area di capo Zafferano, un promontorio segnato anche dall’area archeologica di Solunto. Qui nei mesi scorsi la magistratura ha disposto la riapertura di decine di varchi al mare chiusi abusivamente, tuttavia le manomissioni subite dall’ambiente hanno provocato danni difficilmente sanabili, sino alla zona di Trabia...

Non meno complessa è la situazione lungo il litorale agrigentino, dove la costa di Siculiana e quella della riserva naturale di Torre Salsa difendono a denti stretti la propria incolumità, mentre il lido di San Leone rappresenta un triste esempio di quella che abbiamo indicato come ‘occupazione antropica integrale’.

Vi è poi il problema dell’edilizia in aree sottoposte a riserva. Quella trapanese dello Zingaro è sempre più assediata da complessi edilizi che rischiano di pregiudicare gli equilibri naturali finora tutelati, ma non mancano casi paradossali, come quello delle oasi catanesi del Simeto. Questa riserva, creata nel 1984, è la zona umida più importante della Sicilia, grazie ad acquitrini, stagni salmastri, corsi d’acqua e fiumi che ospitano importanti specie faunistiche e floristiche. Grazie alle inadempienze dell’assessorato regionale al territorio ed ambiente, oggi oltre 6.000 abitazioni continuano ad insistere all’interno del perimetro della riserva, gran parte delle quali prive degli allacciamenti dell’Enel, della Telecom e della rete idrica. Un Comitato Villaggi Plaja, composto dai proprietari degli immobili, alla fine dello scorso marzo ha manifestato a Palermo, chiedendo la sanatoria, col risultato che l’intera vicenda potrà trovare una soluzione basata giocoforza sul compromesso.

Tutto ciò, mentre la stessa Regione prende in considerazione l’ipotesi di una maxi-sanatoria , riguardante case, palazzine e villette costruite entro 150 metri dalla battigia, accogliendo le domande di sanatoria già presentate dopo una legge siciliana del 1985 e quella varata dal governo Berlusconi nel 1994.

L’operazione porterebbe nelle casse regionali quasi 115 miliardi provenienti dai soli proprietari degli immobili costruiti abusivamente a pochi passi dal mare. Lo scontro politico su quella che gli oppositori hanno già definito come una ‘proposta indecente’ è già aperto.

Il presidente della Regione, Drago, considera la sanatoria una ‘azione di bonifica e di riqualificazione del territorio’ , mentre insorgono le associazioni ambientaliste, come Legambiente, secondo cui il provvedimento ‘vuole risanare il bilancio regionale, vendendo l’impunità agli abusivi e svendendo le coste’.

Il braccio di ferro tra fautori e denigratori della sanatoria si preannuncia assai lungo, ma sin d’ora rimane il dubbio che qualsiasi decisione possa contribuire a ‘sanare’ la vera vittima dell’edilizia abusiva, l’ambiente.


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