'ORA' LEGALE

Dilettanti alla riscossa?

Un progetto di legge del Ministro Veltroni prevede una boccata d'ossigeno per le associazioni sportive dilettantistiche no profit che svolgono attività di utilità sociale

di David G.Castagnetta

F ino ad oggi il nostro legislatore si è preoccupato di dettare una rigida regolamentazione per quelle istituzioni di carattere privato ritenute di rilevanza tale da essere oggetto di riconoscimento e del conseguente conferimento della "personalità giuridica". Tutte quelle istituzioni che sono invece escluse da tale riconoscimento sono prive di disciplina specifica: sono le cosìdette "associazioni non riconosciute", fra le quali rientrano tutte quelle organizzazioni sportive senza scopo di lucro o meglio "NO PROFIT". La disciplina di queste società ed associazioni fra le quali rientrano circa settantamila associazioni sportive senza fini di lucro, non è stata fino ad oggi oggetto di specifica attenzione da parte del legislatore se non per dettare alcune norme generali del tutto indifferenti verso problemi ed esigenze vitali. Ovviamente il fatto che oggi si discuta di dettare una disciplina finalmente organica e completa per le ASSOCIAZIONI E SOCIETA' SPORTIVE DILETTANTISTICHE non può che vederci favorevoli ed è certamente un intervento necessario; non è però abbastanza. Il settore delle associazioni non riconosciute comprende infatti una miriade di piccole organizzazioni molte delle quali svolgono attività culturali (musicali, letterarie, artistiche etc. etc.) anch'esse utili alla collettività non meno della attività sportiva e che continueranno a restare prive di una disciplina organica che prenda in considerazione le effettive esigenze. Approvando l'iniziativa di disciplinare il settore sportivo dilettantistico non possiamo dunque esimerci dal sottolineare che l'iniziativa in discussione è comunque parziale e ricopre solo uno dei tanti settori che hanno urgente bisogno di una disciplina specifica altrettanto positiva che potrebbe inoltre probabilmente consentire di "espellere" una serie di "organizzazioni" che approfittando della vaghezza legislativa nascondono attività lucrative sotto le mentite spoglie delle ormai diffusissime associazioni "NO PROFIT". Alle associazioni e società sportive "senza finalità di lucro" sono oggi riconosciute alcune agevolazioni fiscali, comunque non sufficenti ad evitare che queste organizzazioni volte alla pratica ed alla diffusione della attività sportiva si vedano pur sempre pressate dal nostro ben noto sistema tributario, pur essendo "NO PROFIT". Non si può certo pretendere di "punire" o di non agevolare chi è in buona fede, per colpire chi, ed i casi non sono certo pochi, si serve di tale qualifica per nascondere attività in cui è palese il perseguimento del "PROFIT". Le uniche ad essere regolamentate, ed in maniera giustamente rigida, sono le società sportive professionistiche, caratterizzate dallo scopo di perseguire un utile tramite l'esercizio della attività sportiva. Questa caratteristica giustifica infatti l'inserimento fra le società commerciali disciplinate dettagliatamente dal Codice Civile (con la previsione di alcuni requisiti particolari in relazione all'attività sportiva esercitata) e giustifica la mancanza di agevolazioni in considerazione del fatto che, se pure svolgano sempre un'attività di promozione dello sport questa è strumentale al perseguimento di un profitto per i soci. Il progetto di legge Veltroni (e sottolineamo appunto che si tratta ancora di un progetto) prevede, invece, che, ferma restando la distinzione fra organizzazioni "PROFIT e NO PROFIT", queste ultime possano godere di una serie di effettive agevolazioni in considerazione del fatto che la loro attività viene riconosciuta ad "utilità sociale" (è certamente tale l'attività di pratica, diffusione e promozione dello sport). Si prevede dunque la "applicazione del regime tributario delle organizzazioni non lucrative ad utilità sociale". Dunque un alleggerimento della situazione fiscale del settore sportivo no profit anche a livello formale. Allegerimento quanto mai opportuno se è vero che chi svolge una attività utile per la collettività e soprattutto non lucrativa non può e non deve essere scoraggiato ed ostacolato. Chiaramente resta fermo l'obbligo di reinvestire i proventi attivi nell'attività sportiva, se si vuole ottenere il riconoscimento da parte del CONI, necessario per fruire delle agevolazioni previste. Un ulteriore aiuto, se non incontrerà difficoltà burocratiche, potrà provenire dalla concessione a tali società ed associazioni della possibità di gestire impianti sportivi delle scuole e degli enti locali, e dalla possibilità per gli insegnanti di educazione fisica dipendenti pubblici di svolgere attività a titolo gratuito presso queste società dietro semplice comunicazione all'amministrazione di appartenenza. Per la verità sul primo di questi due punti c'é chi, come il dott. Candido Cannavò (direttore della Gazzetta dello Sport che ha sensibilizzato, con svariati e competenti interventi, a legiferare a favore dello sport ed in particolare dello sport dilettantistico) ha sollevato motivate perplessità: si tratterebbe di una vecchia questione, più volte proposta ma mai realizzata per una serie di problemi logistici (controllo e pulizia degli impianti....). Un altro problema é oggi costituito dal fatto che le associazioni sportive si vedono di fatto precluso il ricorso al credito bancario per mancanza di beni da dare in garanzia. Tale difficoltà dovrebbe essere superata tramite la creazione di un apposito Fondo di Garanzia "per la fornitura di garanzia sussidiaria a quella ipotecaria per la costruzione, miglioramento o acquisto di impianti sportivi". L'ultimo punto anche questo criticato dal Cannavò riguarda gli "enti di promozione sportiva", oggi istituti spesso fatiscenti ed utilizzati per fini tutt'altro che sportivi. Per questi enti si prevede un irrigidimento per quanto riguarda il riconoscimento e dunque la concessione dei finanziamenti, elevati dal "1,2 al 1,5 % degli incassi lordi dei concorsi pronostici". Si prevede comunque, per evitare ricorsi e proteste, un periodo transitorio di tre anni durante il quale questi enti si potranno adeguare ai requisiti richiesti dalla legge.