INCHIESTA DOPING

Quella sporca ultima meta

Lo sport è' sempre stato visto come un'attività benefica per il corpo e per lo spirito, un'efficace mezzo per tenere i giovani lontano dalla droga. Ma oggi le cose sembrano aver preso una strada diversa...

di Vincenzo Lombardo

C on la fine dei cento metri del "campione" Ben Johnson nel 1988 a Seul, sembrava essersi chiuso il problema del doping, almeno nei modi e nei toni di quei giorni. Ricorderete il tanto rumore che si fece, le discussioni televisive, i lunghi dibattiti, i titoloni dei giornali, il tutto per sensibilizzare gli sportivi, gli addetti ai lavori e l'opinione pubblica sul dolente tema della "droga" nello sport. Ma invece..., catapultiamoci nel 1996, per l'esattezza 25 ottobre 1996. Il dottor Flavio Alessandrini, ex medico della nazionale di ciclismo rivela ad un quotidiano sportivo nazionale di assere stato al centro di un insabbiamento, relativamente ad una sua denuncia, e di aver collaborato ad un dossier redatto dal dirigente olimpico Sandro Donati. Un dossier scottante in cui sarebbero indicati nomi di atleti, di direttori sportivi, di massaggiatori e medici, ritenuti responsabili del doping, ma non solo questo, visto che sarebbero anche state citate alcune circostanze in cui si è verificato l'uso di sostanze vietate. La tensione cresce, al Coni in un primo tempo il "dossier" sembra scomparso, e come prassi vuole in questi casi, vengono fuori gli scheletri dagli armadi, addirittura lo stesso Alessandrini suppone che gli atleti implicati in casi di doping dal `93 ad oggi potrebbero essere passati dal 50 per cento all'80 per cento. Ci fermiamo qui. Forse si tratta di una percentuale troppo elevata e poco credibile, ma è quanto basta per capire che siamo di fronte ad un fenomeno preoccupante che ci porta ad essere talvolta, telespettatori di una competizione sportiva, dove di sportivo c'è solo il nome. In queste parole c'è sicuramente un senso di sfiducia, che ci perviene dalla gente che vede talvolta crollare dal piedistallo un proprio mito quando viene a conoscenza dai mass media che il "grande campione", da emulare nelle gesta e nei grandi risultati, è accusato di doping. Lungi da noi l'idea di creare facili allarmismi, certi che dai singoli episodi, al fare "di tutta l'erba un fascio", il passo è breve. Colpevolizzare quindi, l'intera categoria è errato anche se nello sport in generale i controlli antidoping sono insufficienti e non mancano personaggi privi di scrupoli e maneggioni che mandano diversi atleti allo sbaraglio propinando loro dei farmaci vietati. Il doping di oggi non è più come quello di una volta, i medici, supportati da un apparato tecnico - scientifico, realizzano delle sostanze "dopanti" difficilmente individuabili con l'esame dell'urina. Ne è un esempio l'EPO (eritropoietina), una sostanza che alza il valore dell'ematocrito e dell'emoglobina con il rischio per l'atleta di un'aumento di viscosità del sangue. È necessario ricorrere a metodi e test di laboratorio che siano all'altezza di competere con i preparati di oggi, è stata avanzata la proposta di rendere l'esame del sangue obbligatorio e che ben venga se potrà contribuire a rendere lo sport più pulito. Una volta che si scopra chi fa uso di doping e chi lo prescrive o ne è fornitore bisognerà andare a prendere gli opportuni provvedimenti. A tal proposito il 19 novembre scorso si è insediata la Procura Antidoping, un apparato gestito sempre dal Coni con lo scopo di andare a colpire coloro che non hanno capito quale sia la vera filosofia dello sport, con riferimenti espliciti non solo agli atleti. Ma per assicurare i trasgressori alla giustizia la Procura del Coni non può bastare. Sono stati intanto presentati due progetti di legge al Senato che dovrebbero, se approvati, essere dei veri e propri deterrenti e costituire la panacea per ridare credibilità e fiducia nel mondo dello sport.